ATLETI E VEGANI, ecco le loro performances

E’ di pochi giorni fa la notizia della promozione della Forest Green Rovers, società calcistica di Nailsworth, in Inghilterra, che ha la caratteristica di avere la prima squadra di calcio al mondo completamente vegana ed ecosostenibile al 100%.

Ma quanto la scelta vegetariana influenza la resistenza fisica e la pratica sportiva? Quanto incide sulle relazioni sociali e sul benessere psicologico? Sono domande a cui ha cercato di rispondere una ricerca Patrick Boldt dell’Università di Gießen, in Germania, insieme ad altri studiosi austriaci e greci. E’ stata condotta una indagine su 281 sportivi, vegetariani/vegani e onnivori, esplorando le performance fisiche, ma anche misurando precisi parametri legati alla percezione di sé; alla qualità delle relazioni sociali e di ambientali.

Avere adottato una dieta che esclude la carne ed eventualmente anche tutti i derivati animali non incide sui risultati sportivi, coerentemente con i dati della letteratura scientifica finora disponibili. Onnivori e vegetariani avevano le stesse prestazioni.  Elevata anche la qualità di vita nei vegetariani, probabilmente perché una dieta ricca di frutta e di verdura porta ad una migliore condizione fisica, con minori tassi di morbilità e mortalità.

Ma una  seconda scoperta importante è stata che la scelta della dieta non influenza gli ambiti della qualità della vita, il benessere psicologico e le relazioni sociali per le donne o l’ambiente per gli uomini.  Sia per gli onnivori che per i vegetariani i punteggi di qualità di vita (QOL) sono risultati molto elevati, segno del fatto che la pratica fisica è per entrambi i gruppi un fattore di salute determinante.

Più basso, invece, il grado di integrazione sociale per gli uomini vegetariani, cosa che i ricercatori spiegano con le difficoltà di comprensione di questa scelta nella società attuale, dove il cibarsi di carne è ancora spesso identificato con qualcosa che ha a che fare con l’essere “maschi” e col ruolo tradizionale degli uomini. I vegetariani, inoltre, sono più facilmente single, cosa che potrebbe riflettere una qualche difficoltà legata alle elevate esigenze a cui aderiscono sul piano alimentare e del rispetto dell’ambiente.

Molto alta risulta invece la sensibilità nei confronti delle tematiche sociali ed ambientali, nonché l’attenzione verso la propria salute.

 

Bibliografia

Patrick Boldt, Beat Knechtle, Pantelis Nikolaidis, Christoph Lechleitner, Gerold Wirnitzer, Claus Leitzmann, Thomas Rosemann, and Katharina Wirnitzer

Quality of life of female and male vegetarian and vegan endurance runners compared to omnivores – results from the NURMI study (step 2). J Int Soc Sports Nutr. 2018; 15: 33.Published online 2018 Jul 17.

 

VEGETARIANI: consigli e posizioni della Società Italiana di Nutrizione Umana

Dott. Biagio Tinghino –

E’ stato pubblicato il 31 ottobre 2017 un articolo scientifico che riporta le raccomandazioni per i vegetariani, stilato dalla Società Italiana di Nutrizione Umana.  Gli autori hanno condotto una ricerca su PubMed, recensendo tutti gli articoli scientifici pubblicati fino al settembre 2015, ed hanno sintetizzato le raccomandazioni-chiave per chi vuol condurre una dieta senza carne, pesce e/o derivati animali.

Ecco in sintesi i suggerimenti:

  1. I vegetariani dovrebbero essere incoraggiati ad integrare la loro dieta con una fonte affidabile di vitamina B12 (alimenti arricchiti con vitamine o integratori). Tale consiglio è particolarmente importante per i vegani.
  2. È suggerito un consumo di proteine maggiore ​​rispetto a quelle raccomandate per la popolazione generale. Ciò per compensare il minor assorbimento/utilizzo delle proteine vegetali (più basso valore biologico)
  3. Si raccomanda di consumare ricchi vegetali ricchi di calcio, ferro e zinco, verdure a basso contenuto di fitati e ossalati (Brassicaceae), noci, acqua minerale ricca di calcio. La biodisponibilità di calcio, ferro e zinco può essere migliorata mediante l’ammollo, la germinazione e l’uso di lievito da pasta acida (lievito madre),  tutti accorgimenti che riducono il contenuto di fitati nei legumi e nei cereali ed aumentano l’assorbimento dei nutrienti,
  4. I vegetariani possono garantire una adeguata assunzione di acidi grassi n-3 consumando abitualmente fonti di acido linolenico (noci, semi di lino, semi di chia e loro oli) e limitando l’assunzione di acido linoleico (olio di mais e girasole).

Gli autori concludono che le diete vegetariane ben pianificate che includono un’ampia varietà di cibi vegetali e forniscono un’adeguata assunzione di nutrienti sono adeguate a garantire un buono state di salute. Le agenzie governative e le organizzazioni sanitarie/nutrizionali dovrebbero fornire maggiori risorse educative per aiutare gli italiani a consumare diete vegetariane nutrizionalmente adeguate.

 

 

Bibliografia:

Agnoli C, Baroni L, Bertini I, Ciappellano S, Fabbri A, Papa M, Pellegrini N, Sbarbati R, Scarino ML, Siani V, Sieri S. Position paper on vegetarian from the working group of the Italian Society of Human Nutrition. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2017 31 ottobre. Pii: S0939-4753 (17) 30260-0. doi: 10.1016 / j.numecd.2017.10.020.

 

Diossine, PCB e altri contaminanti: quando la dieta vegan vince e quando no

Dott. Biagio Tinghino-

Lo studio NutriNet Santé ha condotto una indagine, su base volontaria, sul consumo alimentare delle popolazioni vegetariane francesi (N = 1766 soggetti, di cui 188 vegani) da 18 a 81 anni (18-77 anni per i vegan). Approfittando della disponibilità di dati sulla contaminazione degli alimenti,  generati nel contesto del secondo studio francese sulla dieta in generale, sono state stimate le esposizioni delle popolazioni vegetariane francesi ai vari contaminanti.

E’ andata bene rispetto a diversi inquinanti organici persistenti, nel senso che vegetariani e vegani ne assumevano molto meno degli altri. Si tratta dei PCB (policlorobifenili) delle diossine PCDD (policlorodibenzodiossine) e composti simili. Il motivo è legato al fatto che queste sostanze sono più alte nelle carni e nel cibo di derivazione animale.

E’ andata peggio, invece, per altre sostanze. I vegani assumono più fitoestrogeni (ma non è detto che ciò sia da considerare negativo), micotossine T2 e HT2 (questo sì che non va bene). Più elevate erano anche le assunzioni di metalli come per esempio l’alluminio, il cadmio, lo stagno e il nichel.

Questo studio, secondo gli autori, ha dimostrato che le abitudini alimentari possono influenzare drasticamente l’esposizione ad alcuni contaminanti.

 

Riferimenti bibliografici

Food Chem Toxicol. 2017 Jul 25. pii: S0278-6915(17)30430-1. doi: 10.1016/j.fct.2017.07.048. [Epub ahead of print] Exposure to contaminants and nutritional intakes in a French vegetarian population. Fleury S, Rivière G, Allès B, Kesse-Guyot E, Méjean C, Hercberg S, Touvier M, Bemrah N.

 

Vegetariani e malattie neuropsichiatriche, il ruolo della vitamina B12

Dott. Biagio Tinghino –

I vegetariani  hanno un rischio maggiore –se non gestiscono correttamente la loro alimentazione  – di deficit di vitamina B12. La carenza di B12 è diffusa anche tra la popolazione generale, soprattutto tra gli anziani, quanti soffrono di gastrite cronica, infezione da Helicobacter pilori, malassorbimento intestinale, celiachia o che assumono per lunghi periodi farmaci inibitori di pompa protonica (es. esomeprazolo, pantoprazolo). La percentuale di carenza tra gli onnivori è, però, generalmente molto più bassa rispetto a quella nei vegani. Lo studio EPIC-OXFORD, confortato anche da altre ricerche, ha mostrato che bassi livelli di vitamina B12 sono più frequenti nei vegani (52% dei soggetti), nei latto-ovo-vegetariani (7%) rispetto agli onnivori (<1%).

Un aspetto particolarmente interessante è quello della correlazione tra deficit di B12 e malattie neurologiche o psichiatriche. Nonostante i vegetariani tendano ad essere più longevi, la qualità di vita varia molto a seconda delle popolazioni esaminate.

Studi effettuati, per esempio, su vegetariani avventisti americani, per esempio, avevano mostrato un minor rischio di depressione e di disturbi d’ansia rispetto alla popolazione generale.

Al contrario, indagini su vegetariani tedeschi e pachistani, evidenziano una maggiore prevalenza di malattie neuropsichiatriche.  Kapoor  e collaboratori, del  Basic Medical Sciences Institute di Karachi, hanno evidenziato alti livelli di omocisteina e bassi livelli di vitamina B12 nei vegetariani.  Esisteva una correlazione molto forte tra queste carenze e i segni clinici di depressione (31% nei vegetariani contro il 12% negli onnivori), parestesie (11% contro il 3% negli onnivori), neuropatie periferiche (9% versus il 2%), psicosi (11% nei vegetariani contro il 3% negli onnivori).Michalak, d’altra parte, ha pubblicato una indagine sui vegetariani tedeschi che mostra una maggiore presenza di disturbi depressive, disturbi d’ansia e somatoformi.

E’ noto inoltre che alcune forme di depressione refrattarie ai trattamenti usuali possono rispondere alla supplementazione con vitamina B12.

I dati  derivanti dalla ricerca possono sembrare contrastanti, ma in realtà sono spiegabili con il contesto culturale e sociale nel quale le indagini sono state condotte.

Alcuni sottogruppi di vegetariani  (es. gli avventisti) vivono all’interno di un forte legame di comunità, frequentano gruppi sociali molto attivi, hanno frequente accesso a possibilità di formazione e aggiornamento ed hanno nel contempo (negli USA) la possibilità materiale di procurarsi alimenti adeguati, inclusi supplementi di B12.  In questi casi l’insieme dello stile di vita e della scelta alimentare si mostra vincente, producendo vantaggi rispetto all’alimentazione usuale.

Nei casi di “vegetarianesimo povero” o “fai-da-te”, invece, sono più evidenti i rischi. Quando il vegetarianesimo viene praticato semplicemente per sottrazione (“togliendo” carne e pesce e/o i derivati) la probabilità di disturbo neuropsichiatrico – a quanto pare – diventa più alta, depressione in particolare.

La soluzione è quella di considerare con attenzione la composizione dei cibi che mangiamo, basando le proprie informazioni su fonti scientificamente attendibili. E’ importante la supplementazione con vitamina B12 (in particolar modo per i vegani), che deve raggiungere il dosaggio di 2-5mcg al giorno nell’adulto. Vanno inoltre privilegiati cibi fermentati (yogurt o latti vegetali fermentati), temphe, insieme ad un adeguato apporto di proteine, zinco e una composizione di grassi bilanciata.

 

L’articolo può essere riprodotto in parte o in modo completo citando per esteso l’Autore e la fonte.

 

Bibliografia

Gilsing AM, Crowe FL, Lloyd-Wright Z, Sanders TA, Appleby PN, Allen NE, Key TJ , Serum concentrations of vitamin B12 and folate in British male omnivores, vegetarians and vegans: results from a cross-sectional analysis of the EPIC-Oxford cohort study. Eur J Clin Nutr. 2010 Sep;64(9):933-9.

Clin Chem Lab Med. 2009;47(3):334-8. doi: 10.1515/CCLM.2009.074. Vitamin B12 deficiency is associated with coronary artery disease in an Indian population.

Kapoor A, Baig M, Tunio SA, Memon AS, Karmani H. Neuropsychiatric and neurological problems among Vitamin B12 deficient young vegetarians.Neurosciences (Riyadh). 2017 Jul;22(3):228-232. doi: 10.17712/nsj.2017.3.20160445.

Michalak J, Zhang XC, Jacobi F. Vegetarian diet and mental disorders: results from a representative community survey. Int J Behav Nutr Phys Act. 2012 Jun 7;9:67. doi: 10.1186/1479-5868-9-67.

Kate, Grover S, Agarwal M. Does B12 deficiency lead to lack of treatment response to conventional antidepressants? Psychiatry (Edgmont). 2010 Nov;7(11):42-4.

Capperi, che pianta!

Dott. Biagio Tinghino –

Si nutre di poco, vive abbarbicato sulle rocce, ma è in grado di dare tantissimo. E’ il cappero (Capparis spinosa), una umile pianta che fino a poco tempo fa era conosciuta solo per l’uso gastronomico. E invece ora se ne stanno occupando anche i farmacologi, grazie ad alcune proprietà  straordinarie che ha dimostrato di possedere.

La produzione più importante si ha nel’isola di Pantelleria, dove cresce da millenni. Lì, senza particolare fatica, questo piccolo arbusto germoglia  e produce ogni anno centinaia di quintali di bottoni floreali, che poi vengono conservati sotto sale. Questi frutti sono amarissimi e perciò necessitano di alcuni passaggi per essere addolciti.

Quali sono le  proprietà nutrizionali e terapeutiche dei capperi? La medicina popolare delle diverse regioni in cui cresce la pianta parla di effetti antireumatici, diuretici, astringenti, antidiarroici, espettoranti, febbrifughi. Viene raccontato anche di effetti sulla sterilità, la dismenorrea e il mal di denti.  Naturalmente bisogna andar cauti a prendere per buone tutte queste indicazioni, perché non tutte sono avvalorabili. In alcuni casi, però, le ricerche degli ultimi decenni hanno dimostrato che i capperi costituiscono una fonte importante di principi attivi.

Per cominciare i  capperi son la pianta più ricca in natura di quercetina, un flavonoide che costituisce chimicamente l’aglicone di diversi glucosidi come la rutina.

Grazie principalmente a questo  componente si è visto, per esempio, che l’estratto di capperi è molto utile nel trattamento del diabete di tipo 2. Husein e altri ricercatori hanno condotto uno studio in doppio cieco e con gruppo di controllo (quindi di alta grado di evidenza) dal quale è emerso che i soggetti trattati con estratto di Capparis spinosa vedevano scendere la glicemia in modo significativo.  I pazienti comunque assumevano contemporaneamente l’usuale trattamento ipoglicemizzante.

Altri effetti studiati sono quelli antibatterici e antitumorali. Gli estratti di cappero sono in grado di inibire in vitro la crescita di  batteri come lo Stafilococco epidermidis e lo Strepcotoccus faecalis. Moderata inibizione della crescita si è avuta anche nei confronti di E. Coli, Salmonella typhimurium, Bacillus cereus, Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus aureus. Su tali effetti antibiotici non ci sono però studi sull’uomo.

In vitro l’estratto di capperi è in grado di inibire in vitro la crescita di cellule tumorali del carcinoma del colon. Oltre a ciò i principi attivi proteggono i condrociti (le cellule delle cartilagini) dai danni prodotti dai FANS, i farmaci antidolorifici  più comunemente usati.

Grazie alla presenza di quercetina, il Capparis spinosa è un ottimo antistaminico e un potente antiossidante. Alcuni studi ne hanno messo in evidenza le potenzialità antipertensiva e ipolipemizzanti.

Tanti motivi, quindi, per utilizzare i capperi in cucina, se si ha l’accorgimento di eliminare la maggior parte del sale che si usa per conservarli. Sugli aspetti terapeutici invece occorre andar cauti, affidandosi agli esperti e soprattutto non confondendo la bibliografia degli studi in vitro con i risultati ottenuti sull’uomo. In qualsiasi caso dovremo ricordarci di questa umile pianta, perché sicuramente continuerà a far parlare di sé.

Questo articolo è liberamente riproducibile citando per esteso l’Autore e il link della pubblicazione

 

Bibliografia
Complement Ther Med. 2013 Oct;21(5):447-52. doi: 10.1016/j.ctim.2013.07.003. Epub 2013 Aug 7. Capparis spinosa L. (Caper) fruit extract in treatment of type 2 diabetic patients: a randomized double-blind placebo-controlled clinical trial. Huseini HF1, Hasani-Rnjbar S, Nayebi N, Heshmat R, Sigaroodi FK, Ahvazi M, Alaei BA, Kianbakht S.

Food Chem. 2012 May 1;132(1):261-7. doi: 10.1016/j.foodchem.2011.10.074. Epub 2011 Nov 10. The anticarcinogenic potential of essential oil and aqueous infusion from caper (Capparisspinosa L.). Kulisic-Bilusic T, Schmöller I, Schnäbele K, Siracusa L, Ruberto G.

Life Sci. 2005 Sep 30;77(20):2479-88. Protective effect of Capparis spinosa on chondrocytes. Panico AM, Cardile V, Garufi F, Puglia C, Bonina F, Ronsisvalle G.

Phytother Res. 2016 Nov;30(11):1733-1744. doi: 10.1002/ptr.5684. Epub 2016 Jul 13. Review. Pharmacological Effects of Capparis spinosa L. Nabavi SF, Maggi F, Daglia M, Habtemariam S, Rastrelli L, Nabavi SM.

Metalli pesanti nei cibi: sappiamo quanti e da dove?

Dott. Biagio Tinghino

Quanto sono contaminati frutta e verdura? Quanto gli altri cibi? Un capitolo allarmante è costituito dalla presenza di metalli pesanti nei cibi, ossia di elementi come  ferro, zinco, cadmio, alluminio, mercurio, arsenico, cobalto e piombo. Bisogna premettere che una certa quantità di alcune di queste sostanze è tollerata dal nostro organismo e addirittura utile, come per esempio per il ferro e lo zinco. Gli altri elementi sono comunque presenti in natura e perciò una minima quota di assunzione è fisiologica, ma a patto di non superare certe quantità, stabilite dagli organismi di controllo internazionale.

Ci sono diversi fattori alla base di un eccesso di metalli nei vegetali. Alcuni di essi sono dovuti all’inquinamento dell’aria e agli scarichi industriali,  altri a fattori assolutamente naturali come le caratteristiche geologiche del suolo, il tipo di falda che l’acqua di irrigazione attraversa nel sottosuolo, l’attività vulcanica presente in alcune zone. Ma la maggior parte di metalli pesanti nei cibi è determinata dalle attività dell’uomo e dall’inquinamento da lui prodotto, a partire dai concimi minerali, per finire alle discariche delle industrie metallurgiche e delle miniere.

La qualità del suolo è una caratteristica piuttosto fissa  e legata al punto specifico, mentre aria e acqua risultano gli elementi più difficili da controllare, anche per chi produce ortaggi biologici. Si tratta di due elementi che possono trasportare, per vie diverse, sostanze inquinanti (naturali o industriali) per decine di chilometri e possono vanificare ogni sforzo dei coltivatori.

I metalli pesanti ingeriti con l’alimentazione non vengono del tutto eliminati con le feci, ma sono parzialmente assorbiti e si depositano in modo selettivo in alcuni organi bersaglio, come il fegato, il rene o il cervello.

Mangiare un piatto di spinaci, per esempio,  può essere una pratica salutare per alcuni aspetti, ma dobbiamo essere sicuri che implica molto spesso un introito importante di metalli pesanti. I dati di un recente studio giapponese permettono di calcolare che 300 g di spinaci lessi contengono 1-1,5 mg di alluminio, mentre una porzione di cereali (per es. riso)1,3-1,6 mg. Molto meno le patate e i legumi (1,13 mg per Kg), mentre ad alto rischio sono i dolci (circa 19 mg/kg).

Una insalata (150 g di lattuga) della Valcamonica (Brescia) contiene mediamente 6,9 mg di piombo e addirittura 147,9 mg di manganese. I metalli pesanti si trasferiscono anche al miele che, per esempio, arriva a contenere 9,9 ppm di Nichel, 10,3 ppm di cadmio e 10,2 ppm di piombo. Nel pesce grosso i livelli di mercurio, poi, possono salire alle stelle.

 

Com’è la situazione delle verdure in Italia e in Europa?

Numerose ricerche risultano pubblicate rispetto alla situazione in Italia. Una indagine è stata effettuata in provincia di Catania  su pomodori, spinaci, melanzane, patate, zucchine, uva, mele e pere. In particolare i dati sono stati raccolti su 60 campioni prodotti nei territori di  Adrano, Biancavilla e Mazzarrone. I livelli di piombo, cadmio, nichel, rame, zinco, vanadio e selenio nei campioni di frutta, verdura, aria e acqua sono stati determinati usando uno spettrometro di assorbimento atomico. Il Dr. Ferrante, del Dipartimento di Igiene dell’Università di Catania, ha riportato “una diffusa contaminazione di frutta e verdura e soprattutto a causa dell’uso di fertilizzanti e di attività vulcanica.”

In linea generale le verdure a foglia larga assorbono più metalli a causa della superficie esposta all’aria, mentre i tuberi (rape, ravanelli, patate) dalla terra.

In Valcamonica (provincia di Brescia) le cose non stanno molto diversamente. Qui il problema sembra essere costituito dalla presenza, fino al 2001, di industri estrattive (miniere) e di lavorazione dei metalli. Le misurazioni eseguite su 59 orti domestici della vallata hanno dimostrato livelli più elevati di manganese, piombo,  ferro.  Colpite soprattutto le lattughe e la cicoria. Si trattava di 986 ppm di manganese contro i 416 misurati sul territorio del Garda. Il piombo era una volta e mezza più alto (46,1 ppm contro 30,2).

In Campania Baldantoni e il suo gruppo di ricerca dell’Università di Salerno ha trovato livelli più elevati del normale nelle piante di lattuga e di indivia. Ma il punto è che la quantità di cadmio, per esempio, era molto maggiore nelle foglie esterne che in quelle interne. Mentre il suolo era piuttosto incontaminato, probabilmente l’elemento viene assorbito attraverso l’aria. Le cause? L’inquinamento da gas di scarico, ma anche l’alternativa che molti cittadini utilizzano per disfarsi dell’immondizia: bruciarla.

I funghi, poi, sono degli accumulatori straordinari di metalli. Una misurazione effettuata sulle specie commestibili che crescono in un grande parco naturale della Slovacchia ha verificato che il limite consentito di cadmio era abbondantemente superato (164% del normale) e la stessa cosa per il mercurio (+ 96%).

 

Piombo e cadmio

Il cadmio si deposita soprattutto nelle acque del mare e l’inquinamento di questo elemento deriva da attività minerarie, industri metallurgiche, fertilizzanti minerai, industri di vernici.  La dose massima che si può assumere è di 0,007 mg/kg/settimana (cioè 3,4 mg per un uomo di media corporatura). Il piombo si è sparso nell’ambiente, nel secolo scoro, a causa della benzina. Da quando si è adottata la benzina “verde” le emissioni sono drasticamente calate ( di 2 terzi) e questa pratica costituisce un buon esempio del come la ricerca possa fornire utili contributi alla salvaguardia dell’ambiente. Il piombo può derivare  anche dalle ceramiche smaltate, dalle vernici e dalle batterie. Una fonte poco nota è il piombo contenuto nelle tubature di PVC, dove è aggiunto come stabilizzante. L’assunzione massima è di circa 10-12 mg a settimana per l’adulto.

 

Alluminio

Dal 7,5% all’8,1% della crosta terrestre è composta da alluminio. L’alluminio è tossico, ma come al solito la questione è determinata dalla quantità. La soglia di assunzione è stata più volte rivista, ed oggi si raccomanda di assumerne al massimo 2 mg al Kg di peso corporeo per settimana (140 mg per un uomo di 70 Kg). Generalmente queste quote sono rispettate, ma talora vengono superate. Negli Stati Uniti l’assunzione media è di 0,7 mg al giorno (4,9 mg la settimana) per i bambini tra i 6-11 mesi, mentre gli adolescenti ne assumono 11,5 mg al giorno (80,5 mg) . Gli adulti ne prendono invece 8 mg circa al giorno (56 mg la settimana).

Qual è la maggiore fonte di alluminio per i bambini? Il latte artificiale, da cui un bambino di 7 kg assume circa 4,2 mg la settimana di questo elemento, mentre chi si nutre con latte vegetale (es. soia) ne assume di più, da 5,5 mg a 7 mg a settimana.

E gli adulti? La media di assunzione giornaliera in Europa, per una persona di 60 Kg, varia da 1,6 a 13 mg al giorno.

 

Mercurio

La maggior parte del mercurio che mangiamo deriva, attraverso una lunga catena, dalla combustione del carbone e della legna. L’uso del carbone su larga scala ha introdotto nell’aria molto mercurio, mentre si sta riducendo la quantità dovuta alla produzione di cloro con celle al mercurio. L’industria della carta immette ancora elevate quantità di questo elemento nell’ambiente. Il mercurio viene trasformato poi dai batteri delle falde acquatiche in metil-mercurio, che è più tossico del mercurio e dell’etil-mercurio.  In questo modo il metallo viene assorbito dal plancton, poi dai pesci più piccoli, concentrandosi soprattutto nei pesci più grossi, i predatori (es. tonno). Ma neanche chi consuma solo vegetali può stare allegro, perché questo elemento si trova anche nei cereali, nella frutta e nella verdura, come vedremo in un prossimo articolo più dettagliato. Il consumo massimo consentito è di 2,45 mg la settimana per un adulto di 70 Kg.

 

Come proteggersi

Sebbene i dati esposti possano apparire allarmanti, bisogna comunque dire che il consumo di frutta e di verdura non deve essere ridotto, perché ad esso sono legati molti vantaggi dell’alimentazione vegetariana. Gli studi sulla sana alimentazione per lo più non distinguono tra cibi biologici e non. Da ciò deriva che in qualsiasi caso il consumo di vegetali produce effetti positivi sulla salute.

Documentarsi sulla presenza di metalli pesanti nei cibi, però, fornisce ulteriori dati e perciò può implementare ulteriormente la nostra capacità di star bene e scegliere consapevolmente.

Sui metalli pesanti occorre seguire una linea rigorosa e pragmatica. Da una parte non si devono promuovere informazioni superficiali, che denunciano perfino il rinvenimento di “tracce” (assolutamente normali) di questi elementi. Dall’altra parte conviene capire quanti metalli pesanti possiamo tollerare, se la nostra alimentazione è equilibrata e come scegliere i cibi meno contaminati.

Ecco le precauzioni da adottare:

  1. Privilegiare vegetali di origine biologica, coltivati in terreni che hanno seguito le procedure/tempi standard di transizione e “decontaminazione”
  2. Spingere i produttori ad effettuare analisi chimiche per la ricerca di metalli pesanti nelle acque di irrigazione (vale anche per le coltivazioni biologiche)
  3. Spingere i produttori ad effettuare analisi chimiche per la ricerca di metalli pesanti nei prodotti finali, in quanto questi elementi possono essere trasportati con l’aria, indipendentemente dalla qualità del suolo
  4. Prestare attenzione ai terreni di origine vulcanica o in prossimità di vulcani, a causa della ricaduta (fall-out) di gas tossici emessi.
  5. Ridurre il consumo di cibi più frequentemente contaminati (es. pesce di grossa taglia, dolci, funghi) o per loro natura “accumulatori organici” di metalli pesanti.

 

Bibliografia

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J Environ Prot (Irvine, Calif). 2012 May;3(5):374-385. Heavy Metals in Soil and Salad in the Proximity of Historical Ferroalloy Emission. Ferri R, Donna F, Smith DR, Guazzetti S, Zacco A, Rizzo L, Bontempi E, Zimmerman NJ, Lucchini RG.

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Published online 2016 Apr 19. doi:  10.1186/s40064-016-2129-1 PMCID: PMC4837749Heavy metals in vegetables: screening health risks involved in cultivation along wastewater drain and irrigating with wastewaterAshita SharmaJatinder Kaur Katnoria, and Avinash Kaur Nagpal

Int J Anal Chem. 2017; 2017: 6391454. Published online 2017 May 11.  PMCID: PMC5444030Analyses of Mineral Content and Heavy Metal of Honey Samples from South and East Region of Turkey by Using ICP-MS

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Poirier J, Semple H, Davies J, Lapointe R, Dziwenka M, Hiltz M, et al. Double-blind, vehicle-controlled randomized twelve-month neurodevelopmental toxicity study of common aluminum salts in the rat. Neuroscience. 2011;193:338–362.

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Nicola Flor, Università di Trento, Contaminazioni alimentari da metalli non ferrosi, http://www.ing.unitn.it/~colombo/Contaminazioni.htm

 

Carne rossa e mortalità precoce: ecco gli ultimi dati

Dott. Biagio Tinghino –

E’ di pochi giorni fa la pubblicazione sul British Medical Journal dei dati di uno studio condotto su 617.000 persone, per cercare se esiste una correlazione tra consumo di carne e mortalità precoce. I dati parlano chiaro. Chi consuma regolarmente carni rosse, sia  processate che no, ha un rischio fino a quasi il 30% in più rispetto agli altri di morire prima del tempo per varie patologie. Lo studio aggiunge l’informazione che il pericolo viene da tutte le carni rosse, non solo quelle affumicate o trattate con conservati o coloranti.  Il motivo non è del tutto chiaro. La causa potrebbe essere costituita dall’alto livello di nitrati e nitriti presente nella carne, anche quella non lavorata. Oppure l’elevata quantità di ferro-eme.

E’ noto da tempo infatti che i nitrati, sia nelle carni che nelle acque, costituiscono un pericolo perché favoriscono lo sviluppo di cancro.

La pubblicazione è stata firmata dal  National Institutes of Health (NIH)-AARP Diet and Health Study degli Stati Uniti, l’equivalente del nostro Istituto Superiore di Sanità, e il campione di popolazione esaminato è veramente imponente, tale da ridurre al minimo la possibilità che i dati siano sbagliati.

Si conferma, dall’altra parte, il dato che l’assunzione di carni bianche  non comporta questi rischi, in quanto nella popolazione esaminata il loro consumo era associato ad una consistente riduzione di mortalità precoce. Bella notizia per quei consumatori, forse. Non certo per polli e tacchini. Per loro la mortalità precoce è del 100%, purtroppo.

 

BMJ. 2017; 357: j1957. Mortality from different causes associated with meat, heme iron, nitrates, and nitrites in the NIH-AARP Diet and Health Study: population based cohort study
Arash Etemadi, research fellow, Rashmi Sinha, senior investigator, Mary H Ward, senior investigator, Barry I Graubard, senior investigator, Maki Inoue-Choi, staff scientist, Sanford M Dawsey, senior investigator, and Christian C Abnet, senior investigator

Cuocere i cibi? Quando è bene e quando no

Dott. Biagio Tinghino –

La cottura degli alimenti può distruggere preziosi nutrienti, ma altre volte invece può migliorare la qualità dei cibi e renderli più digeribili. Nonostante le tante mode che imperversano,  la realtà non è semplificabile e non ci permette di racchiudere tutto sotto una banale definizione di principio.

La temperatura riduce il contenuto di alcune vitamine, e questo è vero soprattutto per la frutta e la verdura. Ma, in altri casi, permette di migliorare la qualità di ciò che mettiamo a tavola. Il punto è che una alimentazione sana deve essere composta da tutte le categorie di alimenti e ciascuna di essere ha le sue caratteristiche di preparazione che dobbiamo imparare a conoscere. Vediamo come orientarci.

 

Verdure e frutta

La frutta dovrebbe essere consumata cruda perché è già digeribile così e le verdure (in una gran parte dei casi) anche.   Le verdure fresche sono quelle più ricche di vitamine  e se la sottoponiamo ad alte temperature riduciamo consistentemente la vitamina C e le altre vitamine termolabili. Stiamo parlando di vitamina B1, B2, B5(acido pantotenico), retinolo e beta-carotene, tocoferolo (vitamina E). Non si tratta di una distruzione totale di queste vitamine, anche se in taluni casi possiamo avere fino al 90% di riduzione del contenuto. Chi mangia le verdure solo cotte, rischia una carenza di alcuni nutrienti (es. acido folico). Ciò non vuol dire che TUTTE le verdure devono essere consumate crude, perché alcune con la cottura ammorbidiscono le loro fibre cellulosa, lignina) e diventano più digeribili. In alcuni casi (es. pomodoro) la cottura aumenta la presenza di antiossidanti  (reazione di Maillard) e migliora le qualità nutrizionali. E’ importante- in conclusione –  comunque che una quota considerevole di frutta e verdure sia cruda. Nessun problema invece per i sali minerali. Basta bere il brodo di cottura delle verdure e recuperarli quasi per intero, dal momento che in quanto sali non evaporano e difficilmente si distruggono.

 

Legumi e cereali

I legumi e i cereali migliorano la digeribilità se sono cotti.  I motivi sono diversi. Intanto vengono inattivati degli antinutrienti (come le anti-proteasi dei legumi e di molti cereali) che ridurrebbero l’assorbimento di preziose sostanze. Poi rendono l’amido più facile attaccabile dagli enzimi intestinali (destrinizzazione). I legumi  e il pane, dunque, devono essere ben cotti. D’altra parte da essi non ci aspettiamo grandi quantità di vitamine termolabili (che già assumiamo da frutta e verdura), ma altri componenti come i carboidrati e le proteine.  Infine c’è sempre l’azione positiva sulle fibre la cui consistenza viene ridotta e resa più adatta alla masticazione (si pensi alla buccia dei legumi). Le patate, se consumate crude, possono essere tossiche (a causa della solanina), problema che si evita se sono ben cotte.

Un modo di rendere più gradevole la preparazione dei carboidrati (es. impedire la formazione di soluzioni collose, come nella cottura del riso) è di aggiungere qualche goccia di sostanza acida, come il succo di limone o una spruzzatina di aceto. In tal modo i chicchi non si attaccano e i globuli di amido restano più coesi.

 

Grassi ed oli

I grassi, quando sono cotti, diventano in genere più buoni al gusto (pensiamo alle fritture). Ma l’alta temperatura induce la produzione di glicerina, per trasformazione dei trigliceridi, e da essa l’acroleina, che è tossica.  Questa sostanza si forma più facilmente con lo strutto e il burro, perché hanno punti di fusione più bassi degli oli vegetali. Ma può anche prodursi quando si usa più volte l’olio per friggere, o lo si usa per diverse ore, come succede nelle friggitorie industriali. Minori sono i rischi per la frittura domestica, soprattutto se l’olio è di oliva, sostituibile on l’olio di arachide.

 

Cibi ricchi di proteine

Le proteine migliorano la digeribilità con la cottura. Le molecole più lunghe vengono scisse e questa cosa facilita l’azione delle pepsine gastriche e delle proteasi pancreatiche. Solo se la cottura diventa troppo prolungata si può avere una parziale riduzione di disponibilità di alcuni aminoacidi come la lisina, il triptofano, la cisteina e la metionina.

Bisogna prestare attenzione a non bruciacchiare i cibi proteici (un classico sono gli alimenti alla brace, soprattutto le carni, ma anche cibi vegetali). All’alta temperatura, infatti,  gli aminoacidi si trasformano in amine aromatiche che sono cancerogene. I cibi proteici sono più digeribili se cotti in ambienti leggermente acidi. Per esempio (piatto vegetariano) il tofu col pomodoro o un po’ di limone.

Resta la questione del come cuocere: forno classico o microonde? Cottura al vapore o in acqua? Pentole di acciaio o di coccio? Il tema è importante, ma ne parleremo un’altra volta.

Malva: come mangiarla e…fare un “test di verginità”

Dott. Biagio Tinghino –

Una pianta selvatica commestibile e, allo stesso tempo, dotata di proprietà terapeutiche è la Malva (Malva silvestris), che in queste settimane fiorisce nei campi di tutt’Italia. La chiamano Malva perché il suo nome greco (malakòs) significa “molle”, ed in effetti molti dei suoi effetti possono essere attribuiti a capacità “emollienti”.  Per dirla in termini comprensibili alla moderna medicina, è ricca di mucillagini, le quali si stratificano all’interno dell’intestino e rendono la massa fecale più morbida e scivolosa. Perciò il decotto di questa pianta è utile per chi soffre di stitichezza, anche se non è un lassativo vero e proprio, ma un agente che aumenta la massa e la rende più morbida. Può essere usata anche da donne in gravidanza e bambini.

Può essere mangiata cotta, ma  le infiorescenze e le foglioline più tenere (ben lavate) possono essere messe nelle insalate. Sembra che Cicerone ne andasse ghiotto, tanto che una volta ne mangiò una tale quantità da avere diarrea per una decina di giorni. San Biagio preparava un famoso olio per il mal di gola con le foglie di questa pianta.

I principi attivi sono costituiti dalle mucillagini, da flavonoidi, polisaccaridi, malvina (nei fiori), malvone A (un naftochinone), diversi tipi di monoterpeni, composti aromatici diterpeni, vitamina A,B1 e C, acido caffeico e clorogenico.

Gli studi esistenti hanno dimostrato i suoi effetti emollienti sull’intestino e di protezione della mucosa gastrica nei confronti di agenti lesivi (es. etanolo). Questo effetto, di tipo locale, è valido anche per la pelle, sulla quale gli estratti malva svolgono azione emolliente e antiinfiammatoria (persino nell’acne).

I suoi estratti sembrano possedere una qualche efficacia (in vitro) sugli stafilococchi e gli antocianosidi dei fiori (in dosi concentrate)  riducono colesterolo e trigliceridi alti.

La medicina popolare usa i decotti di Malva anche come espettorante e mucolitico.

Una delle sue proprietà, non l’ultima ovviamente, è però ancora in attesa di dimostrazione scientifica. E’ quella di riuscire, secondo Alberto Magno, a discriminare le ragazze vergini da quelle che non lo erano più, semplicemente facendole urinare sulla pianta fresca. Se questa si essiccava, allora la donna non era più “integra”: “Fac eam mingere super quandam herbam quae vulgo dicitur malva de mane; si sit sicca, tunc est corrupta”. Provare per credere.